1 mar 2016

Casi d'autore - Twilight Saga: Twilight (Parte 1)


Romanzi scritti da: Stephenie Meyer
Editi da: Little, Brown and Company (Inc.) e Fazi Editore
Alias: Quando il linguaggio di una fanfiction si maschera da paranormal romance seria.

È un normalissimo pomeriggio afoso di luglio, l’aria calda e umida si smuove a malapena con l’ausilio del nostro vecchio e scassato ventilatore portatile, ma non sembra in grado di placare il sudore che ormai m’imperla la faccia. Sono stravaccata sulla cigolante sedia girevole della mia scrivania, il mio sguardo fissa vacuamente il lampadario comprato al mercatone cinese in occasione dei saldi: qualche moscerino svolazza senza troppa convinzione attorno ad esso, altri invece appaiono morti stecchiti sopra gli ornamenti di dubbia provenienza e qualità. La voce della radiolina sulla scrivania di Tafaz spezza il pigro silenzio delle tre del pomeriggio.

«E ora passiamo al meteo. L’anticiclone Plutone continua a preoccupare. Gli esperti dicono che le temperature di trentacinque gradi di questi giorni sono destinate a restare invariate per tutta la prossima settimana. Dovremo aspettarci un abbassamento delle temperature solo all’inizio di agosto».

Mi serve tutta la forza d’inerzia di cui dispongo per arrivare a spegnere quell’aggeggio infernale. Se solo non avessi saputo, ora non sentirei montare dentro di me un’ansia viscerale e il desiderio di affittare una casa sulle Alpi il prima possibile. Ma sento che se portassi con me il lavoro per cercare un po’ di refrigerio, l’orrore mi gelerebbe il sangue nelle vene.
Il nostro studio d’investigazione non conosce pause, ho cercato di convincere Tafaz a risparmiarci i nostri attacchi d’isterismo almeno durante questo caldo torrido, ma è stato irremovibile e ogni volta che lo vedo girare con il suo gigantesco pastrano color marrone scuro per l’ufficio, un curioso istinto omicida mi assale. Forse riuscirei persino a intascare l’assicurazione per uno strano incidente “sul lavoro”… ma poi non potrei più sentire i suoi mirabolanti casi e rabbrividire di terrore ad ogni agghiacciante rivelazione. L'unico rimedio contro l’afa.

A tal proposito, mi ha lasciato del lavoro ad un angolo della porta. Non so cosa ci sia dentro quell’immenso cartone giallastro, legato da un sottilissimo elastico al limite della sua sopportazione, ma so di non potermi aspettare nulla di buono. La politica del nostro studio ci porta ad accettare non solo casi persi nei meandri del web, ma anche creature letterarie che sono emerse dall’anonimato per conquistare una copertina rigida e una sovraccoperta carica di recensioni esageratamente positive. Mi sento male al solo pensiero; il mio intuito mi dice che lì dentro ci sono più di un paio di libri da spulciare.
Appena apro l’incarto subito vorrei che Tafaz fosse presente per poterlo supplicare in ginocchio. No, tutto ma non questo.

Un paio di mani innaturalmente bianche, su sfondo rigorosamente nero, si uniscono a contenere il frutto del peccato, rosso come il SANGUEEEH!

Inizio a vedere la stanza costellata di strani puntini luminosi e sento un forte sapore metallico in bocca. La sola visione mi ha procurato un principio di infarto.


Twilight. Per essere precisi, dietro sono nascosti gli altri libri della saga: l’incubo di ogni recensore e scrittore con un minimo di sale in zucca.
Centinaia di migliaia di voci si sono già sollevate su questa serie, molti dei nostri colleghi si sono sperticati in lodi e critiche più o meno accese. Si sono buttati in analisi approfondite e non, disanimando ogni dettaglio, contraddizione e descrizione.
Ora è giunto anche il mio momento di fronteggiare questo “paranormal romance” dalle discutibili vicende e dai controversi personaggi. Il battito del mio cuore decelera, il respiro si calma e la mia vista riacquista la consueta affidabilità. Sono lucida, posso farcela! Signori, signore e signorine ecco a voi…

TWILIGHT
Partirò dal primo romanzo della saga e in seguito disanimerò i successivi, sempre che il mio cervello non venga lobotomizzato durante l’operazione.
In questa parte cercherò di concentrarmi molto sullo stile con cui Twilight è stato scritto, sfiorando appena gli altri argomenti, ossia personaggi e romance. Credetemi, ci vorrebbe un trattato per ogni aspetto di questo libro, ma dovremo accontentarci delle limitazioni del blog: soglia di sopportazione delle mie dita e dei vostri occhi!

Il libro si apre con una citazione, il seguente passo della Genesi: 

“Ma dell'albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, quando tu ne mangiassi, certamente moriresti”

Wow, che inizio carico di minacce bibliche! Dobbiamo forse aspettarci una morte truculenta in grande stile, a fine libro? Ah no, purtroppo le nostre speranze vengono illuse, anche se di poco: subito dopo abbiamo una paginetta con una piccola visione del finale (ops spoiler!), in cui la nostra protagonista, che impareremo ad amare per le sue molteplici qualità, fronteggia una creatura ancora misteriosa definita “cacciatore”. In questa scena è possibile notare tutto l’attaccamento alla vita di questa giovine, le cui parole sono cariche di ribellione contro il destino avverso e di voglia di continuare a prolungare la sua esistenza:

Per quanto fossi terrorizzata, però, non riuscivo a pentirmi di quella scelta. Se la vita ti offre una sogno che supera qualsiasi tua aspettativa, non è giusto lamentarsi perché alla fine si conclude”

Già, dicevo esattamente questo… Ma sei scema?! Cioè, fammi capire, tu rischi di morire, okay, sei terrorizzata e le tue ginocchia fanno Giacomo Giacomo, fin qui ci siamo arrivati. Da dove deriva questo fatalismo degno di un’ameba?! Nessuno, nemmeno una persona con un buon controllo sulle sue emozioni, riuscirebbe a stare davanti al suo carnefice in questo stato remissivo! Complimenti a te per avere la povertà emotività di un sasso, ora capisco perché la controparte cinematografica abbia una varietà tale di espressioni.

Dopo questa presentazione, il titolo del primo capitolo, “A prima vista”, potrebbe spingermi a chiudere per sempre il libro ed a gettarlo giù dalla finestra, sperando che cada sulla testa del suo editore, ma resisto: mi toccherebbe risarcirlo.
Le vere vicende partono con la nostra vitale ragazza di cui sopra, Isabella Swan, che arriva a Forks, una cittadina dello Stato di Washington. E’ arrivata per trascorrere un annetto circa a casa di suo padre, Charlie, lasciando sua madre e il suo nuovo compagno. Tutto questo avviene in un tripudio di lamentele e masturbazioni intellettuali, perché abbiamo anche la “fortuna” di vedere le cose con il suo punto di vista, in grado di esasperare persino l’emo più convinto.

“E a Forks stavo andando in esilio, una decisione che avevo preso volontariamente e con grande disgusto. Detestavo Forks. Amavo Phoenix. Amavo il sole e il caldo soffocante. Amavo quella città energica e caotica”

Come, gentile pubblico, volete farvi una pera mentre leggete queste due righe? Oh, ma non vi preoccupate, avrete tutte il tempo del mondo per reperire anche una lametta e tagliarvi le vene, le occasioni per sentirvi esasperati non mancheranno!
Pare che questa ragazzetta sia perennemente nel suo periodo e nonostante la scelta di andarsene in “esilio” sia stata per lei disgustosa, si rifiuta categoricamente di rivedere la sua decisione e di dire alcunché alla sua povera mamma che, a giudicare dal tono compassionevole con cui viene descritta dall’“amabile” figlioletta, deve essere un incrocio fra un cane abbandonato e una casalinga con problemi di alcolismo. Un’ameba che ha dato i natali ad un’ameba rompiscatole, siamo in piena combo!

Adesso qualcuno di voi potrebbe anche dire: “eh mi consenta, ma poverina non le piace la città, è solo tanto triste”! (rigorosamente con accento milanese)
E io vi direi che sì, potrebbe essere un semplice atteggiamento MOLTO melodrammatico, ma questa ragazza non è solo piena di orrore e tristezza, è proprio una stronza: quando Charlie le rivela che avrebbe trovato una buona macchina per lei, ecco i suoi dolci pensieri:

“<<Be', in realtà è un pick-up. Un Chevy>>.
<<Dove l'hai trovato?>>.
<<Ti ricordi Billy Black, quello che sta a La Push?>>. La Push è la microscopica riserva indiana sulla costa.
<<No>>.
<<Veniva con noi quando andavamo a pescare, d'estate>>, suggerì Charlie.
Ecco perché non lo ricordavo. Sono molto brava a rimuovere dalla memoria tutte le esperienze dolorose e inutili”

Oh caro Alberto Sordi, la tua esperienza come cantante sarà stata breve, ma quanto c’avevi ragione!


Caro pubblico, vedo già che siete andati da Chef Tony a prendere un bel Miracle Blade III per andarvene come dei pascià, ma se l’idea di dover sopportare questa esplosione di stronzaggine (nel senso che vorreste farla saltare in aria) vi fa pensare al peggio, aspettate di vedere le sue ansie da Mary Sue in incognito. Infatti, la nostra cara protagonista ha paura di andare a scuola il giorno dopo perché non è BIONDA!

“Tutti i ragazzi erano cresciuti assieme, anche i loro nonni si conoscevano fin da bambini. Io sarei stata la ragazza nuova che viene dalla grande città, una curiosità, un mostro.
Ciò sarebbe stato un vantaggio, se solo avessi avuto davvero l'aria di una ragazza di Phoenix. Purtroppo, fisicamente non rientro in nessuna categoria. Dovrei essere abbronzata, bionda, sportiva - una giocatrice di pallavolo o una cheerleader, per esempio -, tutte cose automatiche per una che vive nella "valle del sole".
Invece, malgrado le eterne giornate di sole, la mia pelle era color avorio, senza nemmeno un paio di occhi blu o una chioma di capelli rossi a giustificarmi”

Oh, santo cielo, ma Forks è frequentata anche da ragazzi normali? Chi mai penserebbe che la nuova arrivata in classe sia un mostro?! Poi i suoi pensieri sono completamente incoerenti tra loro: prima si lamenta di aver dovuto lasciare una città energica, caotica e soprattutto soleggiata, che amava alla follia, poi ci mena le sue preoccupazioni di non apparire abbronzata, bionda e atletica! Ma se lei amava tanto questo aspetto ideale, perché non si è impegnata per raggiungerlo?! Non ci è dato sapere.

Complimenti vivissimi, fra l’altro, per l’opinione sballata che la protagonista ha di sé: si ritiene al di sopra dei suoi coetanei, e degli altri in genere (madre premurosa et apprensiva compresa), ma ritiene valido e veritiero l’archetipo che vorrebbe tutte le ragazze dell’Arizona “Biode, atletiche e abbronzate”. Cara la mia Isabella detta “Bella” (interiormente no di sicuro!), sei proprio una cagna travestita da pecora (Se non cogliete il riferimento, vi invito a cercare il sito Tv Tropes: una vera miniera d’oro!).

Caro pubblico, lo so che ormai volete la mia testa su un piatto d’argento perché vi tedio con una ragazzetta del genere e con le mie lasagne che sanno di lagne. Ma essendo il romanzo narrato dal suo punto di vista, non solo bisogna sorbirsi il suo fare buon viso a cattivo gioco verso tutto e tutti, dimostrando, inoltre, di non essere molto diversa da quelle ragazze che criticherà nei prossimi capitoli, se non addirittura peggio. C’è un altro problema con questo stile: la caterva di descrizioni puntigliose fino all’ultimo dettaglio, fanno apparire Bella come una di quelle strane persone con qualche problema, le quali girano per tutta la stanza osservando ogni cosa e fissandoti per tre quarti d’ora, suscitandoti non solo incubi tremendi la notte, ma anche l’istinto di denunciarle alla neuro o ad una stazione di polizia… Per non parlare delle terribili descrizione a elenco della spesa, in cui ogni frase è separata da ingenti punti e punti e virgola:

“La colazione con Charlie fu tranquilla. Lui mi augurò buona fortuna per il mio primo giorno di scuola. Io lo ringraziai, ma sapevo già di non avere speranze. La fortuna , di solito, mi stava alla larga. Charlie uscì per primo per andare alla centrale di polizia che per lui era una moglie e una famiglia. Rimasta sola, mi sedetti al vecchio tavolo quadrato di quercia, su una delle tre sedie spaiate, ed esaminai la piccola cucina, con le pareti rivestite di pannelli scuri, gli armadietti giallo chiaro e il pavimento di linoleum bianco. Non era cambiato niente. Mia madre aveva dipinto gli armadietti diciotto anni prima, nella speranza di portare un po’ di sole in casa. Sopra il caminetto, nel microscopico salotto adiacente alla cucina, c’era una fila di fotografie. Per prima, un’immagine del matrimonio di Charlie e mia madre, a Las Vegas; poi una di noi tre scattata da un’infermiera volenterosa, in ospedale subito dopo la mia nascita; infine una processione di mie foto scolastiche, un anno dopo l’altro. Quelle erano davvero imbarazzanti, dovevo fare il possibile per convincere Charlie a spostarle altrove, almeno finché avessimo vissuto assieme”

Questo è un paragrafo di narrazione inutile, che diventa pesantissimo per via dell’utilizzo spropositato dei punti. E’ vero che gli scrittori anglosassoni, in generale, tendono a sfruttare frasi stringenti, con descrizioni non troppo articolate, a differenza di noi italiani che usiamo spesso e volentieri una prosa molto complessa e, il più delle volte, contorta (il modo in cui scrivo questa recensione ne è un esempio lampante!). Entrambi gli stili hanno dei pregi e dei difetti, ma la tecnica migliore a disposizione degli scrittori, per occultare queste imperfezioni, è senz’altro la sempreverde: “Show, don’t tell”!

*Rumore di campanello in sottofondo. Una voce femminile proveniente da un altoparlante si diffonde per lo studio, limpida e vivace*
Provate anche voi a scrivere usando la regola dello: “Show, don’t tell”. Lasciatevi ammaliare dalle infinite possibilità di rendere vivi personaggi, scene ed ambientazioni impiegando al meglio la vostra creatività! Sviluppate la vostra fantasia e perfezionate le vostre capacità scrittorie!
*La voce cambia, ora è maschile e recita le parole come un automa*
Attenzione! E’ un presidio medico chirurgico, tenere fuori dalla portata dei bambini, può presentare effetti collaterali anche gravi, quali: rallentamento del ritmo di lettura, incapacità di distinguere gli avvenimenti importanti di un libro da quelli meno rilevanti!
*Rumore di campanello in sottofondo*

Ehm, non so come abbiano fatto ad entrare nello studio, ma grazie annunciatori provenienti da chissà dove! Allora, la regola dello “show, don’t tell” è una base importantissima per gli scrittori dilettanti e non: quando si descrivono degli ambienti, delle scene o dei personaggi, il modo migliore per farlo è mostrandoli! Invece di fare elenchi puntati in cui ogni dettaglio, una volta esposto, pare che sia spuntato su un’immaginaria check list di cose presenti in una stanza, perché non cercare di dare vita a questi particolari adoperando i sensi e concentrandosi sulle cose più interessanti? Se la nostra attenzione fosse stata portata subito sulle fotografie, anziché stare a perdere tempo con la narrazione pedissequa delle azioni effettuate dai personaggi e “le tre sedie spaiate”, forse avremmo avuto il tempo, che so? Di conoscere un po’ la nostra cara protagonista grazie alle sensazioni che i ricordi le suscitavano osservando la casa, magari facendola apparire più simpatica con qualche aneddoto divertente! Anche se debbo ammettere, visti i presupposti, preferirei avere a che fare con lei solo per il tempo strettamente indispensabile!

Senza contare che lo “show, don’t tell” permette di scoprire i personaggi non tramite la spiegazione di come siano, ma mediante le loro azioni ed i dialoghi. È snervante vedere come si descriva la povera e incompresa Isabella Swan: parla di sé come se fosse matura ed intelligente, in grado di analizzare perfettamente i grandi classici della letteratura e normalissima nell’aspetto fisico (soprattutto in una città come Forks, dove il pallore dovrebbe essere prerogativa comune, almeno immaginando il perenne cielo plumbeo di cui Bella racconta). Credete che, più avanti, avremo il piacere di assodare come questi informed attribute (Aridaje con Tv Tropes!) siano conformi ai suoi atteggiamenti e al modo in cui verrà trattata dagli altri ragazzi della scuola?

AHAHAHAHAHAHAAHAHAAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHA! 

Ma naturalmente NO! Ovviamente nessuno le farà mai pesare il fatto che predichi bene e razzoli male, men che meno lo stalker Edward Cullen (più avanti mi dilungherò anche sulla brutta copia di Twilight Sparkle)! D’altronde, Bella Swan deve essere una Mary Sue in incognito, mica una ragazza realistica con problemi veri. Deve apparire come la classica ragazza che Hollywood considera socialmente inadatta e nella norma, ma che agli occhi di tutti risulta una strafiga, ipocrita e contraddittoria come se ne vedono tante nei film dedicati agli adolescenti. Volete sapere come faccio ad esserne così sicura? La prova eclatante è che la stessa Meyer, pensando all’attrice adatta per interpretare la sua creatura all’annuncio dei film, non aveva neanche lontanamente considerato Kristen Stewart (che è comunque una bella ragazza, anche se non canonica per gli standard di bellezza americani). Credeva che alcune delle opzioni papabili fossero Ellen Page, Danielle Panabaker e Emily Browning, la migliore secondo lei!

Prima che mi chiediate le fonti (facendo benissimo), Stephenie Meyer ne parlava sul suo sito all’epoca dei fatti.

Ora, ho leggermente divagato, perdonatemi: è vero che non posso criticare esageratamente le scelte cinematografiche effettuate per la trasposizione della saga su pellicola (su Breaking Dawn potrei fare un’eccezione, entrambe le parti sono orrende), sto parlando del libro e non delle palesi problematiche legate alla visione hollywoodiana del mondo. Il punto è che, a livello di scrittura, Twilight presenta uno dei problemi che più detesto di alcune opere della letteratura moderna: sembra scritto come la sceneggiatura per un film!
Per esporre bene l’affermazione di cui sopra, vi citerò un altro pezzo di narrazione, la scena in cui Isabella si reca nella segreteria della scuola il primo giorno per chiedere indicazioni, che confermerà nuovamente anche il problema delle descrizioni stile lista della spesa:

“All’interno c’erano più caldo e luce di quanto avessi sperato. L’ufficio era piccolo: una minuscola area con sedie pieghevoli imbottite che faceva da sala d’attesa, moquette scura variegata di arancione, le pareti tappezzate di avvisi e graduatorie, il pesante ticchettio di un grosso orologio a muro. C’erano piante ovunque, in grossi vasi di plastica, come se fuori non ci fosse abbastanza verde. La stanza era divisa in due da un lungo bancone, disseminato di cestini metallici pieni di moduli e volantini colorati incollati dappertutto. Dietro il bancone c’erano tre scrivanie, una delle quali era occupata da una donna imponente, occhialuta e rossa di capelli. Indossava una maglietta viola, che mi fece immediatamente sentire troppo coperta”

Vedete come ,ancora una volta, tutto sia preciso e didascalico fino al midollo? Come lettrice non me ne potrebbe fregar di meno della moquette screziata di aranciata Sanpellegrino, di orologi a cucù di Geppettiana memoria, dei vasi eco-friendly e dell’accurata descrizione di una semplice segretaria, manco fosse una Divinità scesa in terra che risolverà le controversie del romanzo. Sembrano le indicazioni che uno sceneggiatore darebbe a regista, scenografi, costumisti et simili per chiarirgli come sia lo stage, che attrice debbano selezionare ai casting per fare la segretaria e quali empori debbano girare per trovare quella maglietta viola di merda!

Ad un lettore non serve tutto questo, l’hanno dimostrato centinaia di migliaia di scrittori: al lettore servono le sensazioni e le emozioni, serve uno stile che sottolinei le critiche poste dalla storia o che alleggerisca le vicende con grande sagacia.
Tanto è una stereotipata stanza prestata a ufficio, a che diamine mi serve sapere che le pareti sono tappezzate di avvisi e graduatorie?! Grazie ai c***o, siamo in una scuola!

Dopo aver letto l’ennesima occasione sprecata per trasmettere un po’ di emozioni, posso dire che leggere le stereotipate paturnie mentali della Bella di notte stia diventando un’impresa non da poco: la rossa vestita di viola (un pugno in un occhio sarebbe un insulto minore al buon gusto) è senz’altro una pettegola, la quale al prossimo tè delle cinque riderà della nostra povera Bella Sue (una che s’abbiglia in siffatta maniera non può che essere MALVAGGGIAAHHH). Il cervello di Isabella s’inceppa momentaneamente perché crede che un banale giubbotto nero possa attirare l’attenzione (spero che usi quello giallo canarino per andare ad un funerale, così da beccarsi qualche giusto insulto). Arrossamenti delle gote violente a casaccio (inutile sperare che qualcuno le abbia rifilato un bello schiaffone). 
La vita scolastica di Isabella inizia, dopo una decina di pagine di nulla, tuttavia voglio spezzare una lancia a favore del libro: il carattere con cui è stato stampato è enorme, se fosse un Times New Roman 12, le pagine sarebbero poco meno o poco più della metà impiegate. Ma non vogliamo di certo rischiare che qualcuno sforzi la vista per leggere quest’opera, poi chi li sente quelli costretti a comprare paia di occhiali demodé!

Ora che vi ho risparmiato un po’ di banalità random, non penserete davvero che io sia così malvagia da farvi assistere alla pregiata modestia di Mrs Swan? Ah, ah, ah...
Soffrite con me!

“Io tenevo gli occhi bassi sulla lista di letture che avevo ricevuto dal professore. Era piuttosto elementare: Brontë, Shakespeare, Chaucer, Faulkner. Avevo letto già tutto. Tanto bastò a tranquillizzarmi… e ad annoiarmi.


Mi pare superfluo evidenziare che la sua comprensione dei classici della letteratura, come si avrà modo di scoprire in particolar modo nei romanzi futuri, sia vicina a quella di uno studente che abbia seguito le lezioni di letteratura giocando con l’Iphone pagato dal papi.

Diventa molto difficile per me addentrarmi nell’argomento, sono pur sempre una valida collaboratrice di questo studio di investigazione (quando non dormo, non mangio, non scrivo fanfictions crack pairing sulla torbida relazione fra il Platano Picchiatore e Lucius Malfoy… Facciamo che sono una collaboratrice e basta!), conosco bene i cavilli che le persone da noi seguite potrebbero sollevare sul nostro operato. Tafaz è un detective serio e diligente (ahahaha… Okay la smetto), ma questo non toglie che ogni mestiere abbia i suoi rischi.

Ma tanti dei problemi di questo libro, purtroppo, appaiono legati alle ispirazioni della vita reale: ogni libro della saga, “omaggia” un classico della letteratura. Twilight ha preso spunto da Orgoglio e Pregiudizio!
Non so se abbiate mai letto l’opera di Jane Austen, ma io l’ho fatto e vi posso assicurare che tra dire e realizzare passa un oceano che manco Kyogre in stato di grazia creerebbe: una caratteristica unica e superlativa dei manoscritti di Jane Austen (che ho visto riprodurre diversamente ma con grande abilità da Georgette Heyer) è quella di essere fintamente superficiali, ossia capaci di trasmettere umorismo e frivolezze in una chiave sagace. Come se gli stessi romanzi non prendessero sul serio le vicissitudini al loro interno, ma criticassero ironicamente i melodrammi dei protagonisti e la mancanza di buon senso generale dell’epoca. Sono opere leggere ma consapevoli di esserlo.

Twilight si prende troppo sul serio per essere stato ispirato da Orgoglio e Pregiudizio: ogni facciata è una Luisona di proporzioni abnormi, ogni cliché una fetta di torta Palugona ficcata in gola a forza. Isabella Swan non riesce proprio a camminare a passi lievi per i corridoi della scuola, deve per forza sputare veleno su ogni studente che incontra, persino quelli che vorrebbero aiutarla a trovare la strada per le aule delle prossime lezioni. Le rivolgono troppe attenzioni indesiderate e sono tutti stupidi perché non comprendono il suo fine “sarcasmo” (una battuta di alto livello quella di rispondere: “mia madre è mezza albina” ad uno che constata il fatto che non sia molto abbronzata. Che risate matte). I professori di trigonometria sono il MALEH, perché insegnano una materia orribile e, come se non bastasse, un esemplare della loro specie si è permesso di presentare Isabella detta “Bella” davanti alla classe il primo giorno di scuola, facendola imbarazzare e INCIAMPARE. Come osano comportarsi secondo le regole scolastiche e trovare godimento trastullandosi con operazioni matematiche fredde e bandite dalla Chiesa di Dio? Che siano messi al rogo per il reato di stregoneria!

*Coff, coff* Scusate gentile pubblico, ma gli stereotipi sono forti in quest’opera, mi hanno trasportato indietro, moooolto indietro!

Meno male che Bella si ritiene tanto matura ed intelligente: mostrare così tanto disinteresse da rasentare la maleducazione nei confronti di coloro che le hanno gentilmente fornito indicazioni, dimostrando interesse per lei invitandola anche al loro tavolo durante la pausa pranzo, deve essere il modo con cui una persona di buon cuore palesa la sua gratitudine. 
Pensa se fosse stata una stronza come ho avuto l’impressione dall’inizio del libro, probabilmente le sarebbe venuto il torcicollo a furia di guardarli dall’altro in basso (immagina Boa Hancock che guarda dall’alto in basso)!

Ma aspettate signori, signore e signorine, il capitolo non si concluderà con una normale giornata di vita vissuta! Che entrino in scena i Deus Ex Machina dei libri presenti e futuri!

“Li fissavo perché i loro volti, così differenti, così simili, erano tutti di una bellezza devastante, inumana. Erano volti che non ci si aspetterebbe mai di vedere se non, forse, sulle pagine patinate di un giornale di moda. O dipinti da un vecchio maestro sotto fattezze di angeli. Difficile decidere chi fosse il più bello: forse la ragazza bionda e perfetta, forse il ragazzo con i capelli di bronzo”

Esprimendoci siccome ci nutriamo: erano belli, belli in modo ASSURDOHHHH!
Meno male che si premura di specificarlo, la nostra cara Bella Swan: cogliere il senso di questo messaggio, nelle descrizioni della facciata precedente, poteva essere difficile.
Ironia a parte, affibbiare del “nerboruto” a Emmet mi ha fatto pensare al vecchio protagonista di Prehistorik, il videogame. Immaginarlo con una testa riccioluta… Brividi di orrore gelido!


Tralasciando la poca cura nello scegliere gli aggettivi (Se solo avesse scelto gagliardo… Sento le bandiere italiane garrire al vento per l’occasione persa!), possiamo dire che ora cominci la parte più succosa del libro: la romance che, da mero aspetto del racconto, predomina per tutta la durata del libro da qui alla conclusione!

In questa parte mi sono concentrata molto sullo stile di scrittura, nella seguente inizierò ad analizzare i personaggi e a parlare di questa maledetta romance. Mi sarei dilungata volentieri per altre duecento pagine sulle palesi manchevolezze dello stile di scrittura, ma ormai lo smalto si è scheggiato a furia di scrivere sulla tastiera, dovrò rimetterlo e aspettare che si asciughi riposando gli occhi. Un po’ di sano relax! 
Se penso che non ho ancora concluso il primo capitolo (dopo ne mancheranno solo 23 più l’epilogo: Urrà!) mi viene la nausea…
Spero che Tafaz mi porti una bella pizza margherita con la mozzarella filante o una bella dose di cicuta. Forse mi serviranno entrambe.

Continua nella seconda parte!

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