Romanzi scritti da: Stephenie Meyer
Editi da: Little, Brown and Company (Inc.) e Fazi Editore
Alias: Quando il linguaggio di una fanfiction si maschera da
paranormal romance seria.
È un normalissimo pomeriggio
afoso di luglio, l’aria calda e umida si smuove a malapena con l’ausilio del
nostro vecchio e scassato ventilatore portatile, ma non sembra in grado di
placare il sudore che ormai m’imperla la faccia. Sono stravaccata sulla cigolante
sedia girevole della mia scrivania, il mio sguardo fissa vacuamente il
lampadario comprato al mercatone cinese in occasione dei saldi: qualche
moscerino svolazza senza troppa convinzione attorno ad esso, altri invece
appaiono morti stecchiti sopra gli ornamenti di dubbia provenienza e qualità.
La voce della radiolina sulla scrivania di Tafaz spezza il pigro silenzio delle
tre del pomeriggio.
«E ora passiamo al meteo. L’anticiclone
Plutone continua a preoccupare. Gli esperti dicono che le temperature di
trentacinque gradi di questi giorni sono destinate a restare invariate per
tutta la prossima settimana. Dovremo aspettarci un abbassamento delle
temperature solo all’inizio di agosto».
Mi serve tutta la forza d’inerzia di cui dispongo per
arrivare a spegnere quell’aggeggio infernale. Se solo non avessi saputo, ora
non sentirei montare dentro di me un’ansia viscerale e il desiderio di
affittare una casa sulle Alpi il prima possibile. Ma sento che se portassi con
me il lavoro per cercare un po’ di refrigerio, l’orrore mi gelerebbe il sangue
nelle vene.
Il nostro studio d’investigazione non conosce pause, ho
cercato di convincere Tafaz a risparmiarci i nostri attacchi d’isterismo almeno
durante questo caldo torrido, ma è stato irremovibile e ogni volta che lo vedo
girare con il suo gigantesco pastrano color marrone scuro per l’ufficio, un
curioso istinto omicida mi assale. Forse riuscirei persino a intascare
l’assicurazione per uno strano incidente “sul lavoro”… ma poi non potrei più
sentire i suoi mirabolanti casi e rabbrividire di terrore ad ogni agghiacciante
rivelazione. L'unico rimedio contro l’afa.
A tal proposito, mi ha lasciato del lavoro ad un
angolo della porta. Non so cosa ci sia dentro quell’immenso cartone giallastro,
legato da un sottilissimo elastico al limite della sua sopportazione, ma so di
non potermi aspettare nulla di buono. La politica del nostro studio ci porta ad
accettare non solo casi persi nei meandri del web, ma anche creature letterarie
che sono emerse dall’anonimato per conquistare una copertina rigida e una
sovraccoperta carica di recensioni esageratamente positive. Mi sento male al
solo pensiero; il mio intuito mi dice che lì dentro ci sono più di un paio di
libri da spulciare.
Appena apro l’incarto subito vorrei che Tafaz fosse
presente per poterlo supplicare in ginocchio. No, tutto ma non questo.
Un paio di
mani innaturalmente bianche, su sfondo rigorosamente nero, si uniscono a
contenere il frutto del peccato, rosso come il SANGUEEEH!
Inizio a vedere la stanza costellata di strani puntini
luminosi e sento un forte sapore metallico in bocca. La sola visione mi ha
procurato un principio di infarto.
Twilight. Per essere precisi, dietro sono nascosti gli
altri libri della saga: l’incubo di ogni recensore e scrittore con un minimo di
sale in zucca.
Centinaia di migliaia di voci si sono già sollevate su
questa serie, molti dei nostri colleghi si sono sperticati in lodi e critiche
più o meno accese. Si sono buttati in analisi approfondite e non, disanimando
ogni dettaglio, contraddizione e descrizione.
Ora è giunto anche il mio momento di fronteggiare
questo “paranormal romance” dalle discutibili vicende e dai controversi
personaggi. Il battito del mio cuore decelera, il respiro si calma e la mia vista
riacquista la consueta affidabilità. Sono lucida, posso farcela! Signori,
signore e signorine ecco a voi…
TWILIGHT
Partirò dal primo romanzo della saga e in seguito
disanimerò i successivi, sempre che il mio cervello non venga lobotomizzato
durante l’operazione.
In questa parte cercherò di concentrarmi molto sullo
stile con cui Twilight è stato scritto, sfiorando appena gli altri argomenti,
ossia personaggi e romance.
Credetemi, ci vorrebbe un trattato per ogni aspetto di questo libro, ma dovremo
accontentarci delle limitazioni del blog: soglia di sopportazione delle mie
dita e dei vostri occhi!
Il libro si apre con una citazione, il seguente passo
della Genesi:
“Ma dell'albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare,
perché, quando tu ne mangiassi, certamente moriresti”
Wow, che inizio carico di minacce bibliche! Dobbiamo
forse aspettarci una morte truculenta in grande stile, a fine libro? Ah no,
purtroppo le nostre speranze vengono illuse, anche se di poco: subito dopo
abbiamo una paginetta con una piccola visione del finale (ops spoiler!), in cui
la nostra protagonista, che impareremo ad amare per le sue molteplici qualità, fronteggia una creatura ancora misteriosa
definita “cacciatore”. In questa scena è possibile notare tutto l’attaccamento
alla vita di questa giovine, le cui parole sono cariche di ribellione contro il
destino avverso e di voglia di continuare a prolungare la sua esistenza:
“Per quanto fossi terrorizzata, però, non
riuscivo a pentirmi di quella scelta. Se la vita ti offre una sogno che supera
qualsiasi tua aspettativa, non è giusto lamentarsi perché alla fine si
conclude”
Già, dicevo esattamente questo…
Ma sei scema?! Cioè, fammi capire, tu rischi di morire, okay, sei terrorizzata
e le tue ginocchia fanno Giacomo Giacomo, fin qui ci siamo arrivati. Da dove
deriva questo fatalismo degno di un’ameba?! Nessuno, nemmeno una persona con un
buon controllo sulle sue emozioni, riuscirebbe a stare davanti al suo carnefice
in questo stato remissivo! Complimenti a te per avere la povertà emotività di
un sasso, ora capisco perché la controparte cinematografica abbia una varietà tale di espressioni.
Dopo questa presentazione, il titolo del primo capitolo,
“A prima vista”, potrebbe spingermi a chiudere per sempre il libro ed a
gettarlo giù dalla finestra, sperando che cada sulla testa del suo editore, ma
resisto: mi toccherebbe risarcirlo.
Le vere vicende partono con la nostra vitale ragazza
di cui sopra, Isabella Swan, che arriva a Forks, una cittadina dello Stato di
Washington. E’ arrivata per trascorrere un annetto circa a casa di suo padre,
Charlie, lasciando sua madre e il suo nuovo compagno. Tutto questo avviene in
un tripudio di lamentele e masturbazioni intellettuali, perché abbiamo anche la
“fortuna” di vedere le cose con il suo punto di vista, in grado di esasperare
persino l’emo più convinto.
“E a Forks stavo andando in esilio, una decisione che
avevo preso volontariamente e con grande disgusto. Detestavo Forks. Amavo
Phoenix. Amavo il sole e il caldo soffocante. Amavo quella città energica e
caotica”
Come, gentile pubblico, volete farvi una pera mentre
leggete queste due righe? Oh, ma non vi preoccupate, avrete tutte il tempo del
mondo per reperire anche una lametta e tagliarvi le vene, le occasioni per
sentirvi esasperati non mancheranno!
Pare che questa ragazzetta sia perennemente nel suo
periodo e nonostante la scelta di andarsene in “esilio” sia stata per lei
disgustosa, si rifiuta categoricamente di rivedere la sua decisione e di dire
alcunché alla sua povera mamma che, a giudicare dal tono compassionevole con
cui viene descritta dall’“amabile” figlioletta, deve essere un incrocio fra un
cane abbandonato e una casalinga con problemi di alcolismo. Un’ameba che ha
dato i natali ad un’ameba rompiscatole, siamo in piena combo!
Adesso qualcuno di voi potrebbe anche dire: “eh mi
consenta, ma poverina non le piace la città, è solo tanto triste”!
(rigorosamente con accento milanese)
E io vi direi che sì, potrebbe essere un semplice
atteggiamento MOLTO melodrammatico, ma questa ragazza non è solo piena di
orrore e tristezza, è proprio una stronza: quando Charlie le rivela che avrebbe
trovato una buona macchina per lei, ecco i suoi dolci pensieri:
“<<Be', in realtà è un pick-up. Un
Chevy>>.
<<Dove l'hai trovato?>>.
<<Ti ricordi Billy Black, quello che sta a La
Push?>>. La Push è la microscopica riserva indiana sulla costa.
<<No>>.
<<Veniva con noi quando andavamo a pescare,
d'estate>>, suggerì Charlie.
Ecco perché non lo ricordavo. Sono molto brava a
rimuovere dalla memoria tutte le esperienze dolorose e inutili”
Oh caro Alberto Sordi, la tua esperienza come cantante
sarà stata breve, ma quanto c’avevi ragione!
Caro pubblico, vedo già che siete andati da Chef Tony
a prendere un bel Miracle Blade III per andarvene come dei pascià, ma se l’idea
di dover sopportare questa esplosione di stronzaggine (nel senso che vorreste
farla saltare in aria) vi fa pensare al peggio, aspettate di vedere le sue
ansie da Mary Sue in incognito. Infatti, la nostra cara protagonista ha paura di andare a scuola
il giorno dopo perché non è BIONDA!
“Tutti i ragazzi erano cresciuti assieme, anche i loro
nonni si conoscevano fin da bambini. Io sarei stata la ragazza nuova che viene
dalla grande città, una curiosità, un mostro.
Ciò sarebbe stato un vantaggio, se solo avessi avuto
davvero l'aria di una ragazza di Phoenix. Purtroppo, fisicamente non rientro in
nessuna categoria. Dovrei essere abbronzata, bionda, sportiva - una giocatrice
di pallavolo o una cheerleader, per esempio -, tutte cose automatiche per una
che vive nella "valle del sole".
Invece, malgrado le eterne giornate di sole, la mia
pelle era color avorio, senza nemmeno un paio di occhi blu o una chioma di
capelli rossi a giustificarmi”
Oh, santo cielo, ma Forks è frequentata anche da
ragazzi normali? Chi mai penserebbe che la nuova arrivata in classe sia un
mostro?! Poi i suoi pensieri sono completamente incoerenti tra loro: prima si
lamenta di aver dovuto lasciare una città energica, caotica e soprattutto
soleggiata, che amava alla follia, poi ci mena le sue preoccupazioni di non
apparire abbronzata, bionda e atletica! Ma se lei amava tanto questo aspetto
ideale, perché non si è impegnata per raggiungerlo?! Non ci è dato sapere.
Complimenti vivissimi, fra l’altro, per l’opinione
sballata che la protagonista ha di sé: si ritiene al di sopra dei suoi
coetanei, e degli altri in genere (madre premurosa et apprensiva compresa), ma
ritiene valido e veritiero l’archetipo che vorrebbe tutte le ragazze
dell’Arizona “Biode, atletiche e
abbronzate”. Cara la mia Isabella detta “Bella” (interiormente no di
sicuro!), sei proprio una cagna travestita da pecora (Se non cogliete il
riferimento, vi invito a cercare il sito Tv Tropes: una vera miniera d’oro!).
Caro pubblico, lo so che ormai volete la mia testa su
un piatto d’argento perché vi tedio con una ragazzetta del genere e con le mie
lasagne che sanno di lagne. Ma essendo il romanzo narrato dal suo punto di
vista, non solo bisogna sorbirsi il suo fare buon viso a cattivo gioco verso
tutto e tutti, dimostrando, inoltre, di non essere molto diversa da quelle
ragazze che criticherà nei prossimi capitoli, se non addirittura peggio. C’è un
altro problema con questo stile: la caterva di descrizioni puntigliose fino
all’ultimo dettaglio, fanno apparire Bella come una di quelle strane persone
con qualche problema, le quali girano per tutta la stanza osservando ogni cosa
e fissandoti per tre quarti d’ora, suscitandoti non solo incubi tremendi la
notte, ma anche l’istinto di denunciarle alla neuro o ad una stazione di
polizia… Per non parlare delle terribili descrizione a elenco della spesa, in cui
ogni frase è separata da ingenti punti e punti e virgola:
“La colazione con Charlie fu tranquilla. Lui mi augurò
buona fortuna per il mio primo giorno di scuola. Io lo ringraziai, ma sapevo
già di non avere speranze. La fortuna , di solito, mi stava alla larga. Charlie
uscì per primo per andare alla centrale di polizia che per lui era una moglie e
una famiglia. Rimasta sola, mi sedetti al vecchio tavolo quadrato di quercia,
su una delle tre sedie spaiate, ed esaminai la piccola cucina, con le pareti
rivestite di pannelli scuri, gli armadietti giallo chiaro e il pavimento di
linoleum bianco. Non era cambiato niente. Mia madre aveva dipinto gli
armadietti diciotto anni prima, nella speranza di portare un po’ di sole in
casa. Sopra il caminetto, nel microscopico salotto adiacente alla cucina, c’era
una fila di fotografie. Per prima, un’immagine del matrimonio di Charlie e mia
madre, a Las Vegas; poi una di noi tre scattata da un’infermiera volenterosa,
in ospedale subito dopo la mia nascita; infine una processione di mie foto
scolastiche, un anno dopo l’altro. Quelle erano davvero imbarazzanti, dovevo
fare il possibile per convincere Charlie a spostarle altrove, almeno finché
avessimo vissuto assieme”
Questo è un paragrafo di narrazione inutile, che
diventa pesantissimo per via dell’utilizzo spropositato dei punti. E’ vero che
gli scrittori anglosassoni, in generale, tendono a sfruttare frasi stringenti,
con descrizioni non troppo articolate, a differenza di noi italiani che usiamo
spesso e volentieri una prosa molto complessa e, il più delle volte, contorta
(il modo in cui scrivo questa recensione ne è un esempio lampante!). Entrambi
gli stili hanno dei pregi e dei difetti, ma la tecnica migliore a disposizione degli scrittori, per occultare queste imperfezioni, è
senz’altro la sempreverde: “Show, don’t tell”!
*Rumore di
campanello in sottofondo. Una voce femminile proveniente da un altoparlante si
diffonde per lo studio, limpida e vivace*
Provate anche
voi a scrivere usando la regola dello: “Show, don’t tell”. Lasciatevi ammaliare
dalle infinite possibilità di rendere vivi personaggi, scene ed ambientazioni
impiegando al meglio la vostra creatività! Sviluppate la vostra fantasia e
perfezionate le vostre capacità scrittorie!
*La voce
cambia, ora è maschile e recita le parole come un automa*
Attenzione! E’
un presidio medico chirurgico, tenere fuori dalla portata dei bambini, può
presentare effetti collaterali anche gravi, quali: rallentamento del ritmo di
lettura, incapacità di distinguere gli avvenimenti importanti di un libro da
quelli meno rilevanti!
*Rumore di
campanello in sottofondo*
Ehm, non so come abbiano fatto ad entrare nello
studio, ma grazie annunciatori provenienti da chissà dove! Allora, la regola
dello “show, don’t tell” è una base importantissima per gli scrittori
dilettanti e non: quando si descrivono degli ambienti, delle scene o dei
personaggi, il modo migliore per farlo è mostrandoli!
Invece di fare elenchi puntati in cui ogni dettaglio, una volta esposto, pare
che sia spuntato su un’immaginaria check list di cose presenti in una stanza,
perché non cercare di dare vita a questi particolari adoperando i sensi e
concentrandosi sulle cose più interessanti? Se la nostra attenzione fosse stata
portata subito sulle fotografie, anziché stare a perdere tempo con la
narrazione pedissequa delle azioni effettuate dai personaggi e “le
tre sedie spaiate”, forse avremmo avuto il tempo, che so? Di conoscere
un po’ la nostra cara protagonista grazie alle sensazioni che i ricordi le
suscitavano osservando la casa, magari facendola apparire più simpatica con
qualche aneddoto divertente! Anche se debbo ammettere, visti i presupposti,
preferirei avere a che fare con lei solo per il tempo strettamente
indispensabile!
Senza contare che lo “show, don’t tell” permette di
scoprire i personaggi non tramite la spiegazione di come siano, ma mediante le
loro azioni ed i dialoghi. È snervante vedere come si descriva la povera e
incompresa Isabella Swan: parla di sé come se fosse matura ed intelligente, in
grado di analizzare perfettamente i grandi classici della letteratura e
normalissima nell’aspetto fisico (soprattutto in una città come Forks, dove il
pallore dovrebbe essere prerogativa comune, almeno immaginando il perenne cielo
plumbeo di cui Bella racconta). Credete che, più avanti, avremo il piacere di
assodare come questi informed attribute (Aridaje
con Tv Tropes!) siano conformi ai suoi atteggiamenti e al modo in cui verrà
trattata dagli altri ragazzi della scuola?
AHAHAHAHAHAHAAHAHAAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHA!
Ma naturalmente NO! Ovviamente nessuno le farà mai pesare
il fatto che predichi bene e razzoli male, men che meno lo stalker Edward
Cullen (più avanti mi dilungherò anche sulla brutta copia di Twilight Sparkle)!
D’altronde, Bella Swan deve essere una Mary Sue in incognito, mica una ragazza
realistica con problemi veri. Deve apparire come la classica ragazza che
Hollywood considera socialmente inadatta e nella norma, ma che agli occhi di
tutti risulta una strafiga, ipocrita e contraddittoria come se ne vedono tante
nei film dedicati agli adolescenti. Volete sapere come faccio ad esserne così
sicura? La prova eclatante è che la stessa Meyer, pensando all’attrice adatta
per interpretare la sua creatura all’annuncio dei film, non aveva neanche
lontanamente considerato Kristen Stewart (che è comunque una bella ragazza,
anche se non canonica per gli standard di bellezza americani). Credeva che alcune delle
opzioni papabili fossero Ellen Page, Danielle Panabaker e Emily Browning, la
migliore secondo lei!
Prima che mi chiediate le fonti (facendo benissimo),
Stephenie Meyer ne parlava sul suo sito all’epoca dei fatti.
Ora, ho leggermente divagato, perdonatemi: è vero che
non posso criticare esageratamente le scelte cinematografiche effettuate per la
trasposizione della saga su pellicola (su Breaking Dawn potrei fare
un’eccezione, entrambe le parti sono orrende), sto parlando del libro e non delle palesi
problematiche legate alla visione hollywoodiana del mondo. Il punto è che, a
livello di scrittura, Twilight presenta uno dei problemi che più detesto di
alcune opere della letteratura moderna: sembra scritto come la sceneggiatura
per un film!
Per esporre bene l’affermazione di cui sopra, vi citerò
un altro pezzo di narrazione, la scena in cui Isabella si reca nella segreteria
della scuola il primo giorno per chiedere indicazioni, che confermerà
nuovamente anche il problema delle descrizioni stile lista della spesa:
“All’interno c’erano più caldo e luce di quanto avessi
sperato. L’ufficio era piccolo: una minuscola area con sedie pieghevoli
imbottite che faceva da sala d’attesa, moquette scura variegata di arancione,
le pareti tappezzate di avvisi e graduatorie, il pesante ticchettio di un grosso
orologio a muro. C’erano piante ovunque, in grossi vasi di plastica, come se
fuori non ci fosse abbastanza verde. La stanza era divisa in due da un lungo
bancone, disseminato di cestini metallici pieni di moduli e volantini colorati
incollati dappertutto. Dietro il bancone c’erano tre scrivanie, una delle quali
era occupata da una donna imponente, occhialuta e rossa di capelli. Indossava
una maglietta viola, che mi fece immediatamente sentire troppo coperta”
Vedete come ,ancora una volta, tutto sia preciso e
didascalico fino al midollo? Come lettrice non me ne potrebbe fregar di meno
della moquette screziata di aranciata Sanpellegrino, di orologi a cucù di
Geppettiana memoria, dei vasi eco-friendly e dell’accurata descrizione di una
semplice segretaria, manco fosse una Divinità scesa in terra che risolverà le
controversie del romanzo. Sembrano le indicazioni che uno sceneggiatore darebbe
a regista, scenografi, costumisti et simili per chiarirgli come sia lo stage,
che attrice debbano selezionare ai casting per fare la segretaria e quali
empori debbano girare per trovare quella maglietta viola di merda!
Ad un lettore non serve tutto questo, l’hanno
dimostrato centinaia di migliaia di scrittori: al lettore servono le sensazioni
e le emozioni, serve uno stile che sottolinei le critiche poste dalla storia o
che alleggerisca le vicende con grande sagacia.
Tanto è una stereotipata stanza prestata a ufficio, a
che diamine mi serve sapere che le pareti sono tappezzate di avvisi e
graduatorie?! Grazie ai c***o, siamo in una scuola!
Dopo aver letto l’ennesima occasione sprecata per
trasmettere un po’ di emozioni, posso dire che leggere le stereotipate paturnie
mentali della Bella di notte stia diventando un’impresa non da poco: la rossa
vestita di viola (un pugno in un occhio sarebbe un insulto minore al buon gusto) è senz’altro una pettegola, la quale al prossimo tè delle cinque riderà
della nostra povera Bella Sue (una che s’abbiglia in siffatta maniera non può
che essere MALVAGGGIAAHHH). Il cervello di Isabella s’inceppa momentaneamente perché
crede che un banale giubbotto nero possa attirare l’attenzione (spero che usi
quello giallo canarino per andare ad un funerale, così da beccarsi qualche
giusto insulto). Arrossamenti delle gote violente a casaccio (inutile sperare
che qualcuno le abbia rifilato un bello schiaffone).
La vita scolastica di Isabella inizia, dopo una decina di pagine di nulla, tuttavia voglio spezzare una lancia a favore del libro: il carattere con cui è stato stampato è enorme, se fosse un Times New Roman 12, le pagine sarebbero poco meno o poco più della metà impiegate. Ma non vogliamo di certo rischiare che qualcuno sforzi la vista per leggere quest’opera, poi chi li sente quelli costretti a comprare paia di occhiali demodé!
La vita scolastica di Isabella inizia, dopo una decina di pagine di nulla, tuttavia voglio spezzare una lancia a favore del libro: il carattere con cui è stato stampato è enorme, se fosse un Times New Roman 12, le pagine sarebbero poco meno o poco più della metà impiegate. Ma non vogliamo di certo rischiare che qualcuno sforzi la vista per leggere quest’opera, poi chi li sente quelli costretti a comprare paia di occhiali demodé!
Ora che vi ho risparmiato un po’ di banalità random,
non penserete davvero che io sia così malvagia da farvi assistere alla pregiata
modestia di Mrs Swan? Ah, ah, ah...
Soffrite con me!
“Io tenevo gli occhi bassi sulla lista di letture che
avevo ricevuto dal professore. Era piuttosto elementare: Brontë, Shakespeare, Chaucer,
Faulkner. Avevo letto già tutto. Tanto bastò a tranquillizzarmi… e ad
annoiarmi.
Mi pare superfluo evidenziare che la sua comprensione
dei classici della letteratura, come si avrà modo di scoprire in particolar
modo nei romanzi futuri, sia vicina a quella di uno studente che abbia seguito
le lezioni di letteratura giocando con l’Iphone pagato dal papi.
Diventa molto difficile per me addentrarmi
nell’argomento, sono pur sempre una valida collaboratrice di questo studio di
investigazione (quando non dormo, non mangio, non scrivo fanfictions crack
pairing sulla torbida relazione fra il Platano Picchiatore e Lucius Malfoy…
Facciamo che sono una collaboratrice e basta!), conosco bene i cavilli che le
persone da noi seguite potrebbero sollevare sul nostro operato. Tafaz è un
detective serio e diligente (ahahaha… Okay la smetto), ma questo non toglie che
ogni mestiere abbia i suoi rischi.
Ma tanti dei problemi di questo libro, purtroppo,
appaiono legati alle ispirazioni della vita reale: ogni libro della saga,
“omaggia” un classico della letteratura. Twilight ha preso spunto da Orgoglio e Pregiudizio!
Non so se abbiate mai letto l’opera di Jane
Austen, ma io l’ho fatto e vi posso assicurare che tra dire e realizzare passa
un oceano che manco Kyogre in stato di grazia creerebbe: una
caratteristica unica e superlativa dei manoscritti di Jane Austen (che ho visto
riprodurre diversamente ma con grande abilità da Georgette Heyer) è quella di
essere fintamente superficiali, ossia capaci di trasmettere umorismo e
frivolezze in una chiave sagace. Come se gli stessi romanzi non prendessero sul
serio le vicissitudini al loro interno, ma criticassero ironicamente i
melodrammi dei protagonisti e la mancanza di buon senso generale dell’epoca.
Sono opere leggere ma consapevoli di esserlo.
Twilight si prende troppo sul serio per essere stato
ispirato da Orgoglio e Pregiudizio: ogni facciata è una Luisona di proporzioni
abnormi, ogni cliché una fetta di torta Palugona ficcata in gola a forza.
Isabella Swan non riesce proprio a camminare a passi lievi per i corridoi della
scuola, deve per forza sputare veleno su ogni studente che incontra, persino
quelli che vorrebbero aiutarla a trovare la strada per le aule delle prossime
lezioni. Le rivolgono troppe attenzioni indesiderate e sono tutti stupidi
perché non comprendono il suo fine “sarcasmo” (una battuta di alto livello
quella di rispondere: “mia madre è mezza albina” ad uno
che constata il fatto che non sia molto abbronzata. Che risate matte). I
professori di trigonometria sono il MALEH, perché insegnano una materia orribile e, come se non bastasse, un esemplare
della loro specie si è permesso di presentare Isabella detta “Bella” davanti
alla classe il primo giorno di scuola, facendola imbarazzare e INCIAMPARE. Come
osano comportarsi secondo le regole scolastiche e trovare godimento
trastullandosi con operazioni matematiche fredde e bandite dalla Chiesa di Dio?
Che siano messi al rogo per il reato di stregoneria!
*Coff, coff* Scusate gentile pubblico, ma
gli stereotipi sono forti in quest’opera, mi hanno trasportato indietro, moooolto indietro!
Meno male che Bella si ritiene tanto matura ed
intelligente: mostrare così tanto disinteresse da rasentare la maleducazione
nei confronti di coloro che le hanno gentilmente fornito indicazioni, dimostrando interesse per lei invitandola anche al loro tavolo durante la pausa pranzo, deve essere il modo con cui
una persona di buon cuore palesa la sua gratitudine.
Pensa se fosse stata una stronza come ho avuto l’impressione dall’inizio del libro, probabilmente le sarebbe venuto il torcicollo a furia di guardarli dall’altro in basso (immagina Boa Hancock che guarda dall’alto in basso)!
Pensa se fosse stata una stronza come ho avuto l’impressione dall’inizio del libro, probabilmente le sarebbe venuto il torcicollo a furia di guardarli dall’altro in basso (immagina Boa Hancock che guarda dall’alto in basso)!
Ma aspettate signori, signore e signorine, il
capitolo non si concluderà con una normale giornata di vita vissuta! Che
entrino in scena i Deus Ex Machina dei libri presenti e futuri!
“Li fissavo perché i loro volti, così differenti, così
simili, erano tutti di una bellezza devastante, inumana. Erano volti che non ci
si aspetterebbe mai di vedere se non, forse, sulle pagine patinate di un
giornale di moda. O dipinti da un vecchio maestro sotto fattezze di angeli.
Difficile decidere chi fosse il più bello: forse la ragazza bionda e perfetta,
forse il ragazzo con i capelli di bronzo”
Esprimendoci siccome ci nutriamo: erano belli, belli
in modo ASSURDOHHHH!
Meno male che si premura di specificarlo, la nostra
cara Bella Swan: cogliere il senso di questo messaggio, nelle descrizioni della
facciata precedente, poteva essere difficile.
Ironia a parte, affibbiare del “nerboruto” a Emmet mi ha fatto pensare al vecchio protagonista di
Prehistorik, il videogame. Immaginarlo con una testa riccioluta… Brividi di
orrore gelido!
Tralasciando la poca cura nello scegliere gli
aggettivi (Se solo avesse scelto gagliardo… Sento le bandiere italiane garrire
al vento per l’occasione persa!), possiamo dire che ora cominci la parte più succosa del libro: la
romance che, da mero aspetto del racconto, predomina per tutta la durata del
libro da qui alla conclusione!
In questa parte mi sono concentrata molto sullo stile
di scrittura, nella seguente inizierò ad analizzare i personaggi e a parlare di
questa maledetta romance. Mi sarei dilungata volentieri per altre duecento
pagine sulle palesi manchevolezze dello stile di scrittura, ma ormai lo smalto
si è scheggiato a furia di scrivere sulla tastiera, dovrò rimetterlo e
aspettare che si asciughi riposando gli occhi. Un po’ di sano relax!
Se penso che non ho ancora concluso il primo capitolo
(dopo ne mancheranno solo 23 più l’epilogo: Urrà!) mi viene la nausea…
Spero che Tafaz mi porti una bella pizza margherita
con la mozzarella filante o una bella dose di cicuta. Forse mi serviranno
entrambe.
Continua nella seconda
parte!